Umberto Buscioni. Nostre ombre. Dipinti 1990-2005
- A cura di Marco Cianchi, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna, Sala della Musica e Sala del Fiorino, Firenze, 22 settembre – 2 novembre 2006
- Gli Ori
- Pistoia
- 2006
- ISBN: 8873362176
I Campi Elisi
a Umberto Buscioni
Il mondo è gremito fitto di cose da dipingere, tutte eguali, salvo il diverso spessore della pelle. Ruote leggere e lucenti frusciano senza fine nella pianura portandoti l’affanno puerile dei ciclisti, le schiene curve, l’ansito delle magliette colorate in gara per un vello d’oro puramente simbolico.
L’Ade si inabissa molto più in là. Qui sono i Campi Elisi, in questo gruppo di tetti neppure cinto da mura, in questa valva d’ostrica che è la tua casa dove riesci ogni giorno a inventare una perla: il colore azzurrino, l’altro appena rosato, la bottiglia di plastica, cravatte che sventolano come bandiere sotto il cielo povero di nubi. Sei calmo. Hai scelto una carta vincente nel mazzo. Gettati a perdifiato per la strada in pendenza della pittura. Il quadro è un rogo Già pronto, attesa Della quotidiana scintilla Del sole.
Cesare Vivaldi
Con la mostra di Umberto Buscioni si rinnova la consuetudine di ospitare nelle sale della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti opere scelte di protagonisti della cultura figurativa toscana contemporanea, innanzi tutto come omaggio al contributo poetico di artisti per lo più appartati rispetto all’odierno sistema della critica e del mercato; e, di conseguenza, come riconoscimento della loro vitale operosità alimentata da una sincera e, per così dire, fisiologica vocazione. Si è altre volte ribadito, in analoghe occasioni, che il progetto di allestire esposizioni di maestri contemporanei in un museo dedicato alla memoria storica dell’arte dell’Ottocento e del Novecento in Toscana ha avuto come viatico le istanze conoscitive e promozionali già presenti negli statuti della Galleria che, fondata negli anni cruciali della ‘rinascita’ novecentesca, si era prefissata l’impegno di celebrare la grande stagione dei macchiaioli e, con essa, la militanza estetica e morale di Diego Martelli; ma anche di rivolgere una particolare attenzione ad autori moderni che, sulla base di consolidate convinzioni circa il primato del disegno, si venissero via via distinguendo entro il panorama artistico nazionale.
Non a caso Buscioni – e con lui Marco Ciancili, al cui entusiasmo si deve la felice realizzazione di questa iniziativa – ha scelto di presentare recenti lavori di statura monumentale, concepiti quasi seguendo la paratassi evocativa di un fregio o d’un ciclo d’affreschi: pagine in sé autonome ma nello stesso tempo capaci di rimandare a quella solenne narratività ch’era propria del Rinascimento e della Maniera, vale a dire di crogiuoli figurativi frequentati dal nostro artista per affinità di esperimento cromatico e nella consapevolezza dell’incerto discrimine che intercorre fra maestà e crisi della forma. Opere dell’ultima attività che però consentiranno al visitatore di ripercorrere, magari rileggendo la copiosa antologia di pagine critiche che lo riguardano, l’avventura figurativa di Buscioni dal momento ‘nucleare’ degli anni Sessanta, dedicato alla vita segreta degli organismi come si conveniva in clima di poetiche informali, alla successiva esperienza pop condivisa con Barni e Ruffi negli anni della ‘scuola di Pistoia’; dal laboratorio compositivo dei panneggi e delle marmorizzazioni alle sfolgoranti contaminazioni figurative di Pontormo e Beccafumi, e persino di Cecchin Salviati; sino al vitale sventolio di bandiere e cravatte, probabile indizio d’un definitivo affrancamento dal consistere ineffabile della forma.
La vicenda di Buscioni appartiene dunque – come quelle di Scatizzi, di Moretti, di Bartolini, di Guameri, che lo hanno preceduto nelle stesse sale della Galleria d’arte moderna – al disegno della storia avviato dalle polemiche di Martelli, consolidato dal magistero organizzativo di Ojetti, ulteriormente fortificato dall’impegno fattivo di Ragghianti e, infine, ribadito da chi oggi confida nel presupposto della continuità dell’arte. La protratta fiducia nella pittura e nei maestri che, tramite essa, hanno accumulato fervide materie offerte alle sensibilità sperimentali del nostro tempo – si pensi, per fare un esempio, alla commossa parafrasi pasoliniana della Deposizione di Pontormo – consentono a Buscioni di recuperare con inedito spirito analogico iconografie poi tradotte in apparizioni e vortici di pura evidenza cromatica; di alludere con cordiale nostalgia alla rituale popolarità delle pale d’altare e dei polittici; di offrire insomma un pensoso e insieme risolutivo approdo alle spesso magre risorse dell’estetica contemporanea.
Dall’oggettualità pop alle pitture più recenti, l’opera di Buscioni si riannoda dunque alla storia, quella che il museo intende conservare quale inesauribile repertorio di pensieri e di passioni, gli stessi che l’artista ha dimostrato di saper consultare con l’inquieto scandaglio di una sensibilità allenata a individuare il mistero delle cose quotidiane e il mezzo per trasformarle in stupefatta poesia.
Antonio Paolucci Soprintendente del Polo Museale Fiorentino
Carlo Sisi Direttore della Galleria d’Arte moderna di Palazzo Pitti
Il mondo è gremito fitto di cose da dipingere, tutte eguali, salvo il diverso spessore della pelle. Ruote leggere e lucenti frusciano senza fine nella pianura portandoti l’affanno puerile dei ciclisti, le schiene curve, l’ansito delle magliette colorate in gara per un vello d’oro puramente simbolico.
L’Ade si inabissa molto più in là. Qui sono i Campi Elisi, in questo gruppo di tetti neppure cinto da mura, in questa valva d’ostrica che è la tua casa dove riesci ogni giorno a inventare una perla: il colore azzurrino, l’altro appena rosato, la bottiglia di plastica, cravatte che sventolano come bandiere sotto il cielo povero di nubi. Sei calmo. Hai scelto una carta vincente nel mazzo. Gettati a perdifiato per la strada in pendenza della pittura. Il quadro è un rogo Già pronto, attesa Della quotidiana scintilla Del sole.
Cesare Vivaldi
Con la mostra di Umberto Buscioni si rinnova la consuetudine di ospitare nelle sale della Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti opere scelte di protagonisti della cultura figurativa toscana contemporanea, innanzi tutto come omaggio al contributo poetico di artisti per lo più appartati rispetto all’odierno sistema della critica e del mercato; e, di conseguenza, come riconoscimento della loro vitale operosità alimentata da una sincera e, per così dire, fisiologica vocazione. Si è altre volte ribadito, in analoghe occasioni, che il progetto di allestire esposizioni di maestri contemporanei in un museo dedicato alla memoria storica dell’arte dell’Ottocento e del Novecento in Toscana ha avuto come viatico le istanze conoscitive e promozionali già presenti negli statuti della Galleria che, fondata negli anni cruciali della ‘rinascita’ novecentesca, si era prefissata l’impegno di celebrare la grande stagione dei macchiaioli e, con essa, la militanza estetica e morale di Diego Martelli; ma anche di rivolgere una particolare attenzione ad autori moderni che, sulla base di consolidate convinzioni circa il primato del disegno, si venissero via via distinguendo entro il panorama artistico nazionale.
Non a caso Buscioni – e con lui Marco Ciancili, al cui entusiasmo si deve la felice realizzazione di questa iniziativa – ha scelto di presentare recenti lavori di statura monumentale, concepiti quasi seguendo la paratassi evocativa di un fregio o d’un ciclo d’affreschi: pagine in sé autonome ma nello stesso tempo capaci di rimandare a quella solenne narratività ch’era propria del Rinascimento e della Maniera, vale a dire di crogiuoli figurativi frequentati dal nostro artista per affinità di esperimento cromatico e nella consapevolezza dell’incerto discrimine che intercorre fra maestà e crisi della forma. Opere dell’ultima attività che però consentiranno al visitatore di ripercorrere, magari rileggendo la copiosa antologia di pagine critiche che lo riguardano, l’avventura figurativa di Buscioni dal momento ‘nucleare’ degli anni Sessanta, dedicato alla vita segreta degli organismi come si conveniva in clima di poetiche informali, alla successiva esperienza pop condivisa con Barni e Ruffi negli anni della ‘scuola di Pistoia’; dal laboratorio compositivo dei panneggi e delle marmorizzazioni alle sfolgoranti contaminazioni figurative di Pontormo e Beccafumi, e persino di Cecchin Salviati; sino al vitale sventolio di bandiere e cravatte, probabile indizio d’un definitivo affrancamento dal consistere ineffabile della forma.
La vicenda di Buscioni appartiene dunque – come quelle di Scatizzi, di Moretti, di Bartolini, di Guameri, che lo hanno preceduto nelle stesse sale della Galleria d’arte moderna – al disegno della storia avviato dalle polemiche di Martelli, consolidato dal magistero organizzativo di Ojetti, ulteriormente fortificato dall’impegno fattivo di Ragghianti e, infine, ribadito da chi oggi confida nel presupposto della continuità dell’arte. La protratta fiducia nella pittura e nei maestri che, tramite essa, hanno accumulato fervide materie offerte alle sensibilità sperimentali del nostro tempo – si pensi, per fare un esempio, alla commossa parafrasi pasoliniana della Deposizione di Pontormo – consentono a Buscioni di recuperare con inedito spirito analogico iconografie poi tradotte in apparizioni e vortici di pura evidenza cromatica; di alludere con cordiale nostalgia alla rituale popolarità delle pale d’altare e dei polittici; di offrire insomma un pensoso e insieme risolutivo approdo alle spesso magre risorse dell’estetica contemporanea.
Dall’oggettualità pop alle pitture più recenti, l’opera di Buscioni si riannoda dunque alla storia, quella che il museo intende conservare quale inesauribile repertorio di pensieri e di passioni, gli stessi che l’artista ha dimostrato di saper consultare con l’inquieto scandaglio di una sensibilità allenata a individuare il mistero delle cose quotidiane e il mezzo per trasformarle in stupefatta poesia.
Antonio Paolucci Soprintendente del Polo Museale Fiorentino
Carlo Sisi Direttore della Galleria d’Arte moderna di Palazzo Pitti